Il genio artistico di Kienholz ha attraversato tutta la cultura artistica americana dagli anni '60 ad oggi,  lasciando un segno profondo ed inequivocabile di trasgressione ed innovazione. Negli anni '60/70 non era molto amato dall'establishment artistico che ruotava attorno alle grandi gallerie di New York. Il suo impegno sociale, le lotte pacifiste, la critica alla guerra del Vietnam, il sostegno alle battaglie d'impegno civile e sociale non potevano che contrapporlo a quella parte dell' arte americana, la Pop art, sostenuta  dai grandi mezzi di comunicazione e dai centri del potere americano. Kienholz amava ricordare il gran rifiuto opposto a Leo Castelli, il potente gallerista newyorchese che lo voleva tra i popartisti della sua galleria. Le opere  dell' artista accendevano spesso violente polemiche perché si incuneavano nelle ferite più profonde e dolorose di una società dalle innumerevoli contraddizioni. Soprattutto un'opera, The portable war memorial, un affresco contro la guerra del Vietnam, dove i Marine innalzano la bandiera,  non sulla collina appena conquistata, ma sul tavolo di un fast food, suscitò molte polemiche. " La nostra posizione etico/morale - replicò Kienholz- non è così brillante da permetterci di opprimere altre civiltà. Noi dovremmo, forse, in quanto nazione e individui capire noi stessi e le nostre influenze in un grado superiore". Una sera a Los Angeles a casa d' amici scoprii anch'io la parte del mondo artistico americano che non amava Kienholz: "il popartista Claes Oldenburg si scagliò contro l'opera di Kienhloz con un livore così cieco che avrebbe meritato qualcosa di più di una mia risposta solamente verbale. Kienholz era nato nel 1927 a Fairfield nello Stato di Washington, l'estremo lembo del nordovest degli Stati Uniti da una famiglia di agricoltori. Il primo impegno negli anni '5O a Los Angeles, fu di creare relazioni di lavoro con altri artisti "radicali" e di coinvolgere il pubblico in gallerie d'arte autogestite. Le prime opere erano generalmente composte con cianfrusaglie e " resti di esperienze umane ". Nel 1956 fondò a Los Angeles la NOW Gallery e l' anno dopo con il critico Walter Hopps la Ferus Gallery. In quegli anni era sempre in movimento per organizzare eventi artistici che " coinvolgessero" e non venissero " consumati" dal pubblico . Kienholz, all' epoca poverissimo, era costretto a fare mille mestieri: mi raccontò che girava per Los Angeles con un camion sul quale campeggiava lettere cubitali la scritta " Esperto" . " E che cosa è un artista ? ", mi chiedeva ricordando con un sorriso quegli anni :  " Non è forse un Esperto ...?" Fu proprio la povertà, che gli impediva di comprare i materiali per realizzare le grandi opere, che lo portò a concepire una delle invenzioni più straordinarie dell' arte contemporanea : I Concept Tableaux. Anticipando per molti  aspetti alcune intuizioni dell' arte concettuale, descrisse minuziosamente ogni sua opera in una specie di sceneggiatura. Il collezionista poteva acquisire solo la sceneggiatura oppure anche la realizzazione scultorea dell' opera per il solo costo dei materiali e di un salario orario "all' artista pari alla media della paga degli idraulici, falegnami ed elettricisti sulla piazza di Los Angeles ". Oggi queste opere, i famosi "Tableaux vivant" valgono milioni di dollari e sono di proprietà dei più grandi musei del mondo. Agli inizi degli anni '70, dopo la memorabile partecipazione alla Documenta 5 di Kassel con Five car Stud, un tableaux vivant contro il razzismo,  ed una grande mostra itinerante nei principali musei europei curata da Pontus Hulten, Kienhloz venne consacrato come uno massimi esponenti dell' arte contemporanea. Nel 1973 si trasferì a Berlino Ovest su invito del DAAD, un organismo culturale tedesco. Fu in quell' anno, grazie ad una presentazione dell' artista Wolf Vostell, che lo incontrai . Dopo la mostra di Milano che organizzai nel 1974,  Kienholz cominciò a scoprire l' Italia e soprattutto Parma: in qualche modo ne rimase "contaminato " , come  diceva . All' iniziò rifiutò di visitare i musei, i monumenti, le chiese perché voleva conservare "uno sguardo puro": non voleva che la sua arte fosse suggestionata, condizionata altri segni culturali. Solo dopo mie innumerevoli insistenze si avvicinò alle sculture romaniche di Benedetto Antelami. Guardò prima con sospetto  le sculture nel Battistero  di Parma e poi rasserenato,  mi sussurrò: "Superbe!".  La "contaminazione" continuò con lirica: una sera andammo alla rappresentazione del Rigoletto, una quarta replica con un giovane direttore d' orchestra americano. Fu una serata straordinaria. Kienholz fu profondamente colpito. Scrisse poco dopo su un catalogo di una sua mostra a Parigi al Beaubourg: " Verdi venne rappresentato all' Opera di Parma , in un palco privato pieno di prelibatezze e di vino e con un pubblico così esigente che non può essere descritto in poche parole". Nell'opera lirica Kienholz ritrovò forse anche dei contatti con la sua opera: I tableaux vivant nascevano anche dal lontano ricordo di rappresentazioni, di costume e le stop-action, che Kienholz vide in gioventù nelle chiese di campagna e nei saloni delle fattorie rurali. E in queste recite, come nell' opera lirica, erano descritti i sentimenti le passioni, i drammi eterni dell' uomo. Qualche mese dopo, eravamo in viaggio in macchina tra le distese agricole dell' Idaho. Il sottofondo musicale era la rituale musica country- western. Kienhlolz mi guardò e con un sorriso cambiò cassetta nello stereo. Tutto contento iniziò a canticchiare, in una lingua del tutto inventata, fatta più di suoni che di parole, un' opera lirica : era Il Rigoletto. Su quel nastro d'asfalto dritto fino all' infinito a separare distese enormi di campi coltivati a perdita d' occhio era forse avvenuta un' anteprima musicale. Era proprio nell' Idaho, uno Stato agricolo e selvaggio del nordovest, che Kienholz viveva ormai da anni dopo il periodo berlinese. Sulle rive di un piccolo lago, immerso tra grandi boschi di pini, aveva costruito con le sue mani, intrecciando i grandi tronchi alla maniera canadese, una casa per sé ed altre per i suoi tre figli. Nell' Idaho Kienholz aveva anche costruito un grande museo privato: il "Faith and Charity in Hope Gallery "( Fede e Carità nella galleria della Speranza) un gioco di parole sul nome del villaggio - Hope (Speranza) - dove è situato il museo. Ma quel museo non era dedicato alla sua opera: Kienholz lo aveva voluto, per esporre opere di altri artisti. Era davvero curioso vedere un pubblico di cowboy  e di  farmer  alle inaugurazioni di mostre di Francis Bacon, Alberto Giacometti ed altri grandi maestri, degne di grandi musei. Negli ultimi anni veniva raramente in Europa: non era più tempo di andare al Flohmarkt di Berlino a cercare oggetti per le sue opere. Allo Steinplatz Hôtel erano finiti gli anni 70: non si incontravano più artisti, scrittori, musicisti venuti da tutto il mondo per tenere viva la vita culturale negli anni della guerra fredda. Era finita un' epoca: forse Kienhloz aveva intuito che in questo momento di confusione artistica, sociale e politica doveva ritrovare quei valori, legati alla terra ed al mondo sociale americano, che lo avevano portato a realizzare alcune delle opere più straordinarie di questo secolo."Eppure sono sempre gli altri a morire... " ha detto Duchamp. E' vero. Per gli artisti, per i grandi artisti, come Edward Kienholz, è proprio così !

Giancarlo Bocchi
(Luglio 1994)