“Agli eroi di Belleville, che scelsero la notte del sogno alla ragione politica”
Avventura e/o rivoluzione.La putrefazione dello spettacolo non lascia dubbi, fra la congiuntiva e la disgiuntiva, la scelta non può cadere che sulla barra. Barra che assomma in sé un duplice significato, vergetta di quel morso che la politica ha messo in bocca al proletariato e di albero: arbre/barre de la liberté. La terza soluzione la lasciamo per via d’uscita ai nostri avversari, è la cieca strada dell’Eterno Ritorno, le Termopili di Serse. Gli “ismi”, che pervertono un suffisso in sostantivo, danno corpo ai fantasmi del Grande Giorno; solo in questo modo i piccoli cucinieri possono trasformare una modesta ricetta in un menu: l’avventurismo politico arriva a destino inverandosi nel suo contrario. Vediamolo come un esempio: gli uomini che seppero ghigliottinare il Capeto sono gli stessi che qualche anno dopo si dettero la prima dittatura parlamentare di tutti i tempi. Così la cultura della borghesia che ha esordito con il disprezzo delle realtà elementari della storia non potendo viverle non puo neppure riconoscerle. Nel terrorismo il dominio teme una verità di base, che la fiducia nello spirito del mondo, nel quale finge di credere, si mostri troppo uguale, nella sostanza, alle armi di coloro che vogliono abbatterlo. Proviamo a integrare questa osservazione con quest’altra di Adorno: “Se è vero che la società si è sviluppata a totalità antagonista, quasi tutti i conflitti che si vogliono chiamare particolari saranno allora una cifra”. Ma gli eroi di Belleville sono da un’altra parte: il delirio di sé che crede di poter fare la storia ne è profondamente escluso, la truppa o le canaglie possono esserne lo strumento. A volte, ma mai ne avranno coscienza a cominciare da quella di classe. Spezzare una lancia. Conviene partire anche da questa considerazione, che la lotta di classe non è superata e tanto meno si è inverata nella politica, ma solamente neutralizzata dalla società spettacolare. In questo senso l’anacronismo del terrorismo trova una sua ragione di co-essere. Quella di riaffermare lo stato di allarme. (Anacronismo che affonda alcune delle sue giustificazioni nella constatazione che i fondamentali processi economici che reggono la società borghese non si sono ancora “sostanzialmente” trasformati.) Di contro. La dannazione originaria dei piccoli gruppi in armi è costituita dalla loro storica impossibilità a uscire fuori dalla rissosa conflittualità di ogni rivendicazione per porsi nell’area più ampia dello scontro di classe. Di passare dal “terrorismo” al Terrore, dall’incidentalità violenta alla guerra civile. Del resto, finché questa conflittualità è riconducibile a delle istanze sociologiche o psicologiche (al limite giuridiche: la legittimazione!) questi piccoli gruppi saranno destinati al torto storico, al ruolo di banda. Alla fatalità della criminalizzazione.Primo corollario. Nella società spettacolare non è difficile scorgere dappertutto conflitti senza coscienza di classe e coscienza di classe sopita sul suo destino originario: la lotta. (Si noti. La proiezione ontologica della coscienza di classe è la realizzazione della specie/uomo del progetto marxiano).Secondo corollario. Osserva Hegel a proposito della coscienza infelice, che la nozione di lotta (di classe) postula la coscienza in entrambe le parti. Ciò che spinge a organizzarsi è della stessa natura di ciò che spinge a integrarsi, va bene per i sociologi, ma è funeraria per lo spirito di rivolta, perché questo “qualcosa” costringe gli uomini a restare sulla ruota del passato. La proverbiale diffidenza del proletariato verso tutte le forme di organizzazione non è quindi priva di ogni significato positivo... Da qui all’avventura, però, il passo taglia la gola, si fa per dire, di Leonida. Diffidenza biologica, forzando la mano, di ciò che da un paio di secoli ribolle ai margini di quello che si è inverato contro il corso del mondo: il Capitale. L’apatia politica, scrive Adorno, ha difficilmente il suo motivo nel fatto che non ci sia più oppressione. Più verosimilmente è causata dalla coscienza degli uomini, che quella che oggi è considerata come sfera politica ha ben poco a che fare con i loro veri interessi. A giustificazione del terrorismo bisogna, allora, comprendere come la realizzazione tecnica ha reso intangibile l’avversario di classe che ora appare soltanto in forma paradigmatica. Sottraendosi allo scontro, questo avversario fa affiorare l’antipatia per ciò che fittiziamente lo rappresenta nella persona della gerarchia: capiofficina, capireparto, graduati o superiori vari. Che cosa si affanna a denunciare la tragica Cassandra dell’avventura? Che la storia politica e la politica come scienza e ideologia sono una sorta di venerabile unità dell’accaduto! L’iniquità presente getta una luce sinistra sulla giustizia di ieri, tuttavia occorre evitare di cadere vittima di un errore; quello di elevare la cronaca a significato, perché questo equivale a innalzare la temporalità a struttura totalitaria del presente. Invece, occorre che l’iniquità si denunci come positività raggiunta della giustizia borghese e insieme essa mostri l’astrattezza temporale della storia intesa come sistema totalitario del senso. Il tempo va processato, all’ombra delle rovine dell’edificio della preistoria (Cfr. Salvatore Rosa e la sua poetica degli antri muscosi), per la sua cecità, oppure, esso si vendicherà con l’uniformità dei suoi fittizi processi di trasformazione. Processi che gelano le speranze nel cuore degli uomini in disprezzo di ogni dialettica. Sconcertante rivalsa: il tempo insorge contro la disperazione degli uomini in un solo micidiale modo, con la persuasione. Così, davanti alla planetarizzazione capitalista del mondo l’angoscia che attanaglia il desiderio di caos si scioglie a tratti nella sfida all’armonia. Avventura che tiene testa al corso del mondo e che ha segnato in profondità l’esperienza delle avanguardie storiche, a cominciare da Dada, prima che queste diventassero delle tecniche. In questo senso si compie l’affermazione del manifesto dadaista quando afferma, come regola macabra della sopravvivenza, l’assuefazione. Un’assimilazione che spinge ad autoconservarsi e insieme eccita l’avventura dell'indívidualismo. Noi siamo gli eredi del passato soltanto nella misura in cui è nella società nella quale viviamo che possiamo maturare, malgrado la mortifera violenza del dominio, le forme nuove più propizie alla vita. Colpire al cuore. Il reddito è la linfa del capitale. Nella sua ovvietà questa considerazione ne contiene un’altra. Che la struttura reddituale di uno stato misura il polso della sua pressione arteriosa. Ecco quello che il terrorismo ha confusamente compreso fuori dalla metafora. Avventura allopatica di “ogni inconseguenza come estrema conseguenza dell'infamia (Marx). Crisi dell’avventura. Un tempo la crisi indicava il blocco del processo di valorizzazione, cioè, l’arresto del movimento naturale del capitale e, dunque, favoriva il formarsi di aree, sacche, linee e fronti di scontro fra esso e i suoi avversari. Oggi, la crisi è assunta nella crescita stessa del capitale. Attraverso essa è ora in grado di sopravvivere in un altro modo, ma soprattutto di neutralizzare ogni focolaio di lotta. La crisi. infatti, nella sua formulazione classica presupponeva la distruzione del capitale fittizio e degli equilibri di quelle forze/sostegno del profitto, solo così potevano porsi le basi della ripresa. Oggi, di contro, le forme sovrastrutturali del capitale sono profondamente fissate alla base spettacolare della società. La crisi non si struttura più in cicli di crisi e di prosperità ma si pone essa stessa come parametro di uno sviluppo negativo. Soglia attraverso la quale le condizioni di progressivo immiscrimento del mondo producono. Con il ritorno delle forme di rendita, la compensazione per la caduta del profitto. Movimento che le forme spettacolari della società registrano come riflusso, ritorno del rimosso della tradizione. Avventura e buon senso. Quando le illusioni politiche, lampeggiando sull’altra scena, innervavano le attese sociali era possibile, come fece Louis Blanc, collaborare a una rivista dal titolo: “Le Bon Sens?” (La miseria suggerisce incessantemente il sacrificio della dignità personale). Ancora sul tempo. Nel fenomeno rivoluzionario saltano le speranze temporali sullo “statu-quo”. In esso si deformano le caratteristiche di totalità e linearità del tempo e un’altro tempo si erge a misurarsi col dominio. Il tempo religioso delle cattedrali o quello civile dei municipi scende dalle torri, viene abbattuto a fucilate. Come nota Benjamin, per essere sostituito da un’ucronia temporale che non risponde se non a se stessa. Qui si comprende perché vivere il proprio tempo significa degenerarlo e quanto appaia incomprensibile fuori dal momento “ucronico” della rivoluzione il delirio che dilaga nelle strade con un’intensità e un’asprezza spinte alla consunzione di tutte le cose e di tutti i rapporti sociali. Il fenomeno rivoluzionario deve assolvere, infatti, in principio, al compito rischioso di ogni avventura epica: quello di rendersi immediatamente visibile nelle conseguenze. Compito dello spettacolo è quello di congelare l’avventuroso assalto ai principi metastorici che dominano le relazioni sociali. L’avventura invisibile. Dentro la democrazia la rivoluzione è in pieno svolgimento. Scrivendo ciò, Evola, aveva intuito come la democrazia del Ventesimo secolo non è che una transizione. Transizione di cui noi sottolineamo il carattere sociale che valorizza, a dispetto dell’eccessivo rumore di quelle esterne, il carattere interno di ogni rivoluzione che fa ancora perno sulle masse nazionali. Infine. L’avventura acceca le sue vittime con la promessa del godimento. Ma la vita è corrente. Essa non promette nulla di grande perché ciò che è grande, nella cultura borghese, è allo stesso tempo tragico. Questo accecamento è una diretta conseguenza dell’ideologia dell'avventura: che sia possibile un’idea di essa senza parole. Questa ideologia ha perso per sempre Odisseo. (Alla maniera di Savinio). L’avventura è la prima forma di fuga dalla realtà in cui s’imbatte l’uomo.

Gianni Emilio Simonetti


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