L'IDEOLOGIA FRANCESE


Affacciarsi alla situazione francese liberandosi del mitico rispettoso complesso d’inferiorità verso il paese “usine de culture”, dove la produzione culturale sembra allargarsi in spazi a noi sconosciuti, può essere un gioco molto interessante. Innanzitutto ci si rende definitivamente conto che la cultura francese necessita, e sempre di più, di referenti d’importazione su cui sviluppare le proprie teorie e contro-teorie, e poi perché salta subito all’occhio come molti degli interventi, delle repliche, dei libretti polemici obbediscano soprattutto alla regola di una specie di logorrea tautologica, possibile di continui emendamenti, alimentata dal semplice amore per la discussione; trasformazione culturale in Francia significa appunto “questo eterno e alla lunga noioso gioco della battaglia ideologica tutta separata rispetto ai problemi reali”, e per di più condotto attraverso il consueto trionfalismo. I cosiddetti nuovi filosofi ne sono un esempio recente. Anche i numerosi appelli, giaculatorie e cartelli politici lanciati d’Oltralpe rispondono spesso alla logica del farsi sentire e del sentirsi vivi e presenti nel dibattito generale, causando spesso commistioni ideologiche solo apparentemente sorprendenti. Come nel recente, giustissimo, appello contro la legge fascista del confino, in cui appare beffarda e sorprendente la firma di B. H. Lévy. Vi sono persone del calibro di un Jean Baudrillard che, provando a barare alle regole di questo “gioco” per porsi in posizione fortemente critica nei confronti della neo-cultura ufficiale, si vedono sbarrare la strada da mostri sacri come Foucault, che danno così la dimostrazione di controllare larghi spazi di potere. La crisi dell’Union de Gauche è un aspetto anche della crisi politico-culturale della Francia; ed è in questo contesto che la cultura francese guarda con vivo interesse saggistico al movimento della “primavera italiana”, ribaltando quella situazione creatasi dopo il maggio ‘68 quando, soprattutto in Italia, si sfornavano libri sulla situazione francese. Ma l’esame critico non ha colto le vere novità del soggetto emergente del movimento italiano, restando abbagliato di fronte alla creazione di spazi politici alternativi, ma incapace di allontanarsi dalla “storicizzazione” per analizzare le ragioni della perdita di peso e d’incidenza politica del movimento negli ultimi mesi. Abbiamo avuto modo di constatare questo alla conferenza stampa di Maria Antonietta Macciocchi sul suo libro “Après Marx, Avril”, nella sala delle Editions du Seuil (Tel Quel), dove buona parte dell’intelligenza francese, semiologi, intellettuali della sinistra storica in clima elettorale, e nouveaux-philosophes (questi ultimi con aria di sufficiente superiorità hanno ben presto abbandonato la sala), schiavi del loro verboso formalismo, perdevano continuamente di vista il vero oggetto della discussione: nessuno, meno che mai Maria Antonietta Macciocchi, che si sforzava di analizzare affascinata un movimento di cui è stata lontana spettatrice, e confondendovi risentimenti personali, nessuno è stato capace di rispondere all’intervento di Bifo, che faceva notare come ormai il problema fosse “L'après Avril”, il dopo, il presente insomma, mettendo in discussione la stessa evoluzione del “movimento”. Di Jean Baudrillard, autore di numerosi testi semiologici tra cui “Il sistema degli oggetti” e “Per una critica dell’economia politica del segno”, è uscito un nuovo libro per le edizioni Cappelli “Dimenticare Foucault”, un testo inquietante, non tanto perché prende criticamente le distanze da tutta la neo-cultura ufficiale di sinistra, da Lacan fino a Deleuze e Guattari, ma soprattutto perché, ed è questo che ci trova più impreparati, con la scusa di Foucault vengono radicalmente ribaltate e azzerate tutte le teorie “esplosive” neoumanistiche dell’escatologia rivoluzionaria sessantottesca, dalle parole d’ordine del maggio – “tutto è potere”, “tutto è sessualità” - fino alla più recente teoria del “desiderio”. Degli assiomi fondamentali della “politica” e della “sessualità”, così come del “potere” e del “desiderio”, Baudrillard non ne dimostra l’infondatezza: semplicemente ne constata il decesso. Appare chiaro quindi che Foucault sia solo un’esasperazione fatta analisi di un modo ormai scopertamente falso di rappresentare il potere e il discorso di Baudrillard, uno degli intellettuali più significativi del momento, sia molto vasto. Nel “ciclo di seduzione” in cui secondo Baudrillard il potere si compie, egli individua una possibile “reversibilità”; quindi solo con una reversione di questo processo di seduzione, nel linguaggio attraverso l’anagramma dei testi per renderli “non frontali”, nella politica e nella sessualità attraverso la simulazione, la “parodia”, l’”implosione”, dove tutto tende all’organizzazione dei segni che possono minacciare il potere; solo con questo processo si può attuare la “sfida simbolica” nei confronti del potere.

Articolo pubblicato nel numero 3 di “Tra” (gennaio-febbraio 1978)


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