Il collettivo Artwork e la rivista “Tra” hanno portato avanti da alcuni anni una battaglia per un serio dibattito sull’impegno e sul disimpegno, sull’ideologia e il comportamento nell’arte. Ora i tempi sono maturi per passare a una fase successiva che comprenda l’elaborazione teorica, ma investa anche settori d’interventi immediati. La “pratica politica è l'unica nota positiva in un settore corrotto e miserabile, gestito in modo mafioso e clientelare. I tempi sono maturi perché con il riflusso, il ritorno all’intimismo e la liquidazione del marxismo si riproponga uno scontro frontale e decisivo contro i camuffamenti della pseudo-cultura di sinistra. Questo, come abbiamo già scritto, è un sentiero che può diventare una strada. Ci sono difficoltà e delusioni. I chiarimenti sono necessari e improrogabili. Avvertiamo le preoccupazioni che queste proposte cadano dall’alto, da una sorta di elaborazione teorica da “Hight Art”, ma è necessario in questo momento lavorare per aprire varchi. Tutto questo significa aggregazione di operatori che conosciamo e che non conosciamo ancora, per un unico obiettivo: un lavoro preciso, lucido, teorico e pratico, sul linguaggio per smascherarne  utilizzi e tempi, forme informative e istituzionali. Non siamo più d’accordo con il teorico situazionista Guy Debord, che affermava la “completa fine dell’arte come pratica rivoluzionaria”. Crediamo, invece, nel momento di radicalizzazione dello scontro, per proporre alternative all’incoscienza generale. Basta con le mistificazioni e i servilismi: bisogna smascherare l’aureola di democraticità e “sinistrismo” di certi artisti e critici. Basta col rifugiarsi nel pessimismo piccolo borghese “che in ogni caso una produzione nella società borghese non può essere che borghese”. L’analisi fatta dal Movimento del ‘77 sulla pratica di linguaggio è stata molto importante. Non lasciamo cadere queste ipotesi, ampliamole, riconduciamole a una base reale. I timori sono molti. Troppe volte il più lucido materiale d’accusa è diventato la dialettica del sistema. La logica dell’opposizione (si/no) non è più praticabile, bisogna fornire una strategia diversa per non finire riciclati e ingurgitati dai gironi del sistema. Non abbiamo verità assolute, ma ci sembra che i comportamenti praticabili in questo momento siano tre: lo sciopero, la lateralità, l’invisibilità. Bisogna produrre non senza tener conto dell’essere “altro” rispetto al senso e al non-senso dell’ideologia dominante, e essere invisibili permette di colpire al momento giusto con le nuove armi del linguaggio.
Pubblichiamo di seguito il primo documento programmatico del collettivo Artwork.

Pratiche di comunicazione diretta.
L’attuale momento è caratterizzato da una mancanza di strategia del sistema distributivo che riflette la totale delega da parte dell’artista a certe fasi sovrastrutturali della produzione culturale. Lontane dall’aver raggiunto momenti di efficacia almeno informative, queste fasi vivono la loro miseria appoggiandosi agli ultimi spiccioli di un sistema di scambio ormai agonizzante. Tutto l’entourage che si muove attorno al prodotto artistico (critici, galleristi, curatori di musei, intermediari ecc.) è estremamente ristretto, specializzato e dipendente. Vivendo fianco a fianco con queste espressioni della sovrastruttura, e avendole come uniche interlocutrici, l'artista è inevitabilmente influenzato dai loro umori, dalle loro analisi e dalle loro richieste, e quindi in definitiva è manipolato dalle strutture economiche e politiche in cui vive e che sono poi nel nostro caso quelle capitalistiche. In questi termini l’arte e il conseguente ruolo dell’artista si manifestano come una professione completamente priva di senso a tutti i livelli, tranne che a quello carrieristico, che rimane il solo metro, nella logica dei sistema dell’arte, per una misurazione dei valori del settore. In ogni caso si tratta di superare il dilemma tra un’arte che tende a comunicare e una che tende a superare, attraverso sottili e sempre più raffinate strategie, i test di critici, galleristi e curatori. L’artista, coscientemente o non, sente i limiti dello status attuale, ma fa poco per uscirne. Abituato, infatti, a essere guidato e quasi portato per mano (salvo poi venire abbandonato a se stesso quando non occorre più), è ora incapace di organizzarsi autonomamente. Tuttavia, pur tra le molte contraddizioni, stanno emergendo nuovi modi di produrre e comunicare, oltre all’esigenza di controllare la destinazione e la distribuzione del proprio prodotto. L'artista si fa carico, spesso in prima persona, non solo del momento produttivo ma anche di quello distributivo, e se il secondo influenza il primo, il primo tiene conto della funzione di questo nuovo ruolo e delle diverse caratteristiche dei nuovi canali. Se nel mondo degli scambi e delle merci il prodotto A, distribuito nel punto di vendita B o in quello C, non cambia le sue peculiari caratteristiche (ad esempio le sue qualità nutritive se si tratta di un prodotto alimentare) ed al massimo può modificare di poche lire il prezzo di costo a seconda dei prestigio e della collocazione del punto di vendita, nell’arte visiva la distribuzione è una specie di doppia firma. Una sorta di marchio che si aggiunge a quello dell’artista senza per questo aumentare o diminuire le qualità intrinseche dell’opera. Ma, contrariamente a quello che accade nel resto delle merci, questo fiancheggiamento può portare a un aumento delle qualità sovrastrutturali (e quindi del costo) spesso in misura di 3 o 4 volte il valore iniziale. Naturalmente è possibile anche l’operazione inversa, quella cioè del deprezzamento. È naturale quindi che se invece di un punto di vendita (galleria d’arte) o di un punto promozionale in direzione dell’arricchimento sovrastrutturale (museo) l’artista si serve, ad esempio, della strada, il prodotto proposto avrà delle caratteristiche diverse da quello tradizionale. Non avendo bisogno di garantire una conservazione o una durevolezza nel tempo del prodotto, l’artista userà materiali poveri e deteriorabili su cui la strada lascerà le sue tracce sino a coprirli con altre comunicazioni . La durata del prodotto artistico avrà la vita breve, quella della durata stessa della comunicazione. È onesto osservare, tuttavia, che il prodotto utilizzato spesso non coincide per nulla con quello che è poi la registrazione del lavoro e che, debitamente manipolata, viene offerta allo scambio e quindi monetizzata per garantire all’artista il finanziamento di nuove operazioni. Ma su questa contraddizione fondamentale è opportuno soffermarsi un attimo. L’artista opera con un’ottica sociale in una società che non è ancora predisposta sia strutturalmente che politicamente a recepire questa nuova funzione e questo nuovo ruolo. Si determina allora un fenomeno di ritorno le cui operazioni, dirette a una nuova utenza, debitamente registrate dai nuovi media e trasformate in prodotto, vengono offerte allo scambio e riciclate all’intemo delle strutture distributive tradizionali (del resto inadeguate e impreparate anche a questa funzione). Si configura quindi nettamente il pericolo, per gli artisti che scelgono di lavorare all’interno di un sistema dell’arte configurato come quello attuale, che il referente resti ancora il mondo artistico e non una nuova utenza. Ma di questo pericolo questi artisti sono lucidamente coscienti e su questo rischio basano la loro strategia di operatori visivi. Le affissioni, gli slogan, i rapporti interpersonali, il mezzo postale, le discussioni sono utilizzati con un effetto di spaesamento del messaggio trasmesso, un messaggio apparentemente irrazionale (rispetto ai messaggi con cui convive) e che sembra perdersi all’interno dei vari contesti. Ma la stessa funzione irrazionale diventa razionale se riportata e apportata all’intemo del sistema dell’arte (e qui si ritorna alla strategia dei rischio e della contraddizione fondamentale) per una verifica dei ruoli e delle funzioni dell’operatore stesso. In luoghi tradizionalmente usati dalla distribuzione autorizzata, per rovesciarne i termini e utilizzarli come momenti d’informazione di una distribuzione esterna al sistema dell’arte. L'operazione va così letta come vera e propria analisi dei mezzi che, perdendo le tradizionali caratteristiche tipiche dei sistema: durabilità, solidità, possibilità di privatizzazione, vive solo in funzione dei contenuti e delle informazioni che comunica. Prende così consistenza un fenomeno che determina una presa di coscienza e un rapporto attivo con nuovi media e canali da cui l’artista visivo per anni si era autoescluso, L’innesto del fattore politico esautora spesso l’arte come produzione d’iminagini a favore della parola come materiale sociale. Lo slogan, il testo, acquistano una funzione nuova differenziata. La direzione cambia e cambiano pure gli obiettivi, da provocazione l’arte si sposta nel settore della comunicazione, raccordata con il sociale, insinuando dubbi sullo sclerotizzato ruolo dell’arte e dell’artista così come sono abitudinariamente intesi. Teorizzando una prassi nuova attraverso l'utilizzo della dialettica, del materialismo storico dialettico, tentando di superare gli schemi della rappresentazione visiva, rovesciando il significato di immagini usuali o mettendo in evidenza l’uso repressivo del linguaggio inteso come strumento di diffusione dei consenso. Le operazioni vengono riscattate a livello di vere e proprie analisi del mezzo che, perdendo la caratteristica dell’oggettivazione, vive solo in funzione del contenuto e delle informazioni che comunica. Si viene così a determinare un rapporto nuovo, un filo diretto tra produttore e utente che saltando le barriere delle infra e sovrastrutture stabilisce un rapporto nuovo tra mittente e ricevente, sino a determinare un continuo fenomeno di scambio dei ruoli. Riesce così possibile intendere l’emarginazione come momento di scelta militante dell’artista all’interno del settore. Emarginazione da canali troppo angusti e intasati che richiedono un prezzo (nel senso dei decoro) troppo alto e che condannano inevitabilmente all’isolamento o nel migliore dei casi a un temporaneo successo di sovrastruttura, assolutamente inadeguato alle aspirazioni di una comunicazione più vasta che tenda a toccare nella sua interezza Il tessuto sociale. Vengono infine a determinarsi due schemi che, anche se apparentemente, divisi sono in realtà strettamente collegati tra di loro. L’artista cioè stabilisce due tipi di comunicazioni differenziate, una all’interno e una all’esterno del sistema dell’arte. La prima stabilisce un filo diretto tra produttore e utenza, tra mittente e ricevente; la seconda uno stadio di verifica dei ruoli e delle funzioni proprie, nella prospettiva di un’utilizzazione sociale di questo ruolo e di queste funzioni e la stabilisce naturalmente all'interno dei sistema, di un sistema che, come affermato prima, vive il suo oggi con gli strumenti di domani ma con le strutture di ieri. È quindi possibile stabilire un rapporto diverso tra l’ambito intellettuale e quello sociale basato appunto sul ribaltamento dell’attuale rapporto: rapporto nuovo che richiede modelli alternativi che contrastino la sottile opera di distruzione della consapevolezza del giudizio che passa attraverso i canali della comunicazione. L’operatore, correggendo il tiro e uscendo dall'arte può determinare momenti nuovi, spiazzamenti del contesto artistico. A patto però che riesca a trasformarsi da intellettuale introverso e aristocratico con un proprio lessico privato, a tecnico della comunicazione. Un tecnico nuovo e spregiudicato che tenda a smascherare i pilastri (mass-media) su cui poggia l'ideologia borghese e che sono prevalentemente legati al potere economico che li utilizza, oltre che per i propri interessi immediati, soprattutto per lo scopo politico di affermazione e di diffusione di una sua ideologia. E se esiste un indubbio rapporto tra il mondo delle parole e delle idee e la realtà dei fatti e delle lotte, è dell’affermazione e dalla ricerca di questo nuovo rapporto che si sostanzia l’attività stessa dell’artista nuovo.

Indagine sul sociale
Chiunque svolga un lavoro generalmente identifica la conoscenza tecnica necessaria all’esecuzione con la coscienza che gli deriva dalla pratica. Analogamente, in arte il risultato finale, l’oggetto di tale attività. In quanto perfetto e tangibile, è privilegiato rispetto all’intima qualità del momento produttivo. La presenza dell’artefatto non corrisponde, però, che a una sola caratteristica della sua natura, forse la più eclatante, non certo la più interessante. In effetti si può affermare, quasi in un gioco di parole, che il produttore è il prodotto retrogrado del suo prodotto. L’indagine sul sociale come effettiva pratica politica (e non come pura contemplazione) porta a una progressiva smaterializzazione e a un sempre minor impiego degli utensili tradizionalmente usati per fare arte. Questo fatto conduce anche a una progressiva cancellazione del mezzo di comunicazione specifico (l’arte) per cui l’opera entra a far parte di un preciso contesto non tanto per le sue caratteristiche peculiari, ma quasi esclusivamente per volontà del proprio autore. Dire che l’artista usa utensili non pertinenti alla tradizionale pratica dell’arte significa che, almeno in un certo senso, ha scoperto il mondo nella sua globalità come fonte di informazioni riordinabili e ritrasmissibili. Che ha abdicato dai privilegi determinatigli dalla propria situazione monadica a favore di un comportamento mondano. Questo sta anche a indicare che l’abbandono dell’utilizzazione di strumenti specifici comporta l’uso di mezzi vari e variabili a seconda delle necessità di espressione. Il ripristinato interesse verso il mondo, oggettivo, apre alla realtà e cancella il vecchio mito di condurre tutte le esperienze al loro grado estetico ottimale e definitivo. Il campo dell’arte diviene terreno di indagine, con implicazioni politiche e punti di riferimento e di aggancio col retroterra sociale. Questo porta alla necessità di trasmettere con precisione contenuti intellettuali e stati mentali. Appare chiaro che, come tutti i modi specificatamente umani del comunicare, il mezzo dell’arte si riferisce all’intero processo della vita intellettiva dell’uomo, quindi sia all’esperienza emotiva che a quella concettuale. La comunicazione nella sfera emotiva ha luogo tramite l'intermediazione di mezzi extralinguistici e si può accettare la tesi che, finché si tratta della trasmissione di determinati umori, essi giungono certamente a qualche risultato. Non bisogna però dimenticare che per afferrare lo stato emotivo di qualcuno, espresso mediante questo tipo di comunicazione, occorrono necessariamente mezzi linguistici. D’altro canto la comunicazione intellettuale, diretta cioè a trasmettere agli altri determinati stati mentali, è prettamente linguistica, dato che i sistemi di segni rappresentano sempre qualche frammento di un linguaggio fonetico e quindi ha poco o niente a che vedere con il tema comunicativo dell’arte. La strada scelta è quella del compromesso che porta a una intelleggibilità totale dell’opera. E questa lettura facilitata, che nasce generalmente da almeno due dati (l’immagine e la didascalia), porta al linguaggio dialogico del segno. Il parlare di comunicazione consente e obbliga contemporaneamente a introdurre un concetto ulteriore e conseguente a quello di informazione. Spinge a trattare della riappropriazione della stessa realtà trasformata. Quest’ultimo fatto è indispensabile ai fini di un effettivo rapporto di comprensione dei segni trasmessi e consente di approdare sulla terraferma, di penetrare materialmente nei gangli di un rapporto sociale. Testo come pratica ideologica Partiremo da due considerazioni di base per verificare la pertinenza del segno verbale alla realizzazione pratica dell’opera e per acclarare come esso possa costituire effettivamente un’“immagine dialettica” relativa alla natura intima della realtà. Queste considerazioni si rifanno ad altrettante caratteristiche riscontrabili dal suo processo usuale. La prima caratteristica consiste nell’indipendenza del contenuto semantico di questo tipo di segno da qualsiasi tipo di associazione immaginativa, che non rappresenta mai una condizione della sua esistenza. La seconda è che, come disse Lenin, ogni parola generalizza. Abbiamo, quindi, una possibiltà di astrazione tale da permetterci una eccezionale risalita al concreto e da consentirci di produrre una enorme sperimentazione attiva. Si consideri anche il fatto che qualsiasi tipo di conoscenza, per essere comunicabile, non si può proporre come strettamente individuabile. È chiaro, allora, che con l’adozione del segno verbale nella pratica artistica si viene a creare una oggettiva condizione volta a produrre aperture verso nuove possibilità espressive, al di là dell’arbitrarietà che caratterizza l’attività Il problema consiste nell’impiego pratico della scrittura usata come imagine, tradotta in segno sostitutivo, poiché essa in un altro specifico non può conservare la funzione che ha nel linguaggio ordinario. Esiste una netta differenziazione tra il sintagma “quadro” e ogni altro testo scritto, di qualsiasi tipo esso sia. Mentre nel primo caso alla linearità tra proposta e svolgimento corrisponde una lettura immediata che costituisce la caratteristica principale, nel secondo le condizioni di migliore riuscita saranno offerte da tutte le perturbazioni possibili. L’operazione di colui che invia il messaggio consiste nell’emettere notizie in progressione utilizzando il segno verbale come indice parimenti in evoluzione. Viene sfruttata al massimo l’aleatorietà della parola, della singola proposizione, scollandola dal suo “universo dei discorso”, dal suo significato immediato. Tutte le supposizioni possibili sono un processo dialettico mirante a raggiungere una conoscenza contingente e oggettiva. Abbiamo, quindi, un’intenzione espressa e l’indice della pratica analitica che le è pertinente. Il segno del movimento profondo da essa generato, esprimibile, data la vastità e complessità dell'elaborazione, esclusivamente dalla parola. L’opera rivaluta il proprio specifico generando concetti, interrogativi, ogni probabile trasformazione delle idee. Si viene a creare un concatenamento di “ma anche se” che non precludono l’esattezza della decifrazione: anche se tale esattezza non può venire verificata. Manca, infatti, la possibilità di invertire i ruoli degli interlocutori, di tramutare il cifratore in decifratore, il ricevente in emittente. La retroazione aggiunge, però, significati alla proposizione significante e intenzionale di base, per cui il movimento di tutta l’operazione assume un aspetto profondamente dialettico. Il pensiero astratto del lettore risalterà dal più semplice al più complesso dovendo interpretare non solo il dato offerto ma, essendo costretto ad attribuirgli anche un senso aggiunto, dovrà riferirsi all’opera e chiedersi il perché della soluzione formale. Rileggerà in se stesso, tra ontogenesi e filogenesi, ciò che l’arte significa. L’oggetto impone al decifratore le proprie regole d’interpretazione e ciò che esprime acquista senso in virtù di ciò che può significare. In questo senso se consideriamo l’opera come processo dialettico abbiamo un esempio di unità dei contrari. Completando il quadro con l’azione della lettura, legata a ogni possibile trasformazione, la negazione della negazione sara prodotta dal cumulo delle decifrazioni, nate, sempre e comunque, dal desiderio dell’interpretazione esatta. Ma la precauzione provoca errori e ogni errore produce informazione. La dialettica interna ed esterna come prassi politica Come molta arte dei ‘900 ha dimostrato, attraverso vari accorgimenti ci rendiamo benissimo conto che, superato il concetto puramente artigianale che definiva come manufatto di certe dimensioni, materiali e forma, l’oggetto artistico (per esempio il “quadro”) è divenuto meno facilmente definibile come cosa in sé. In questo modo l’arte prendeva inevitabilmente l’aspetto di un “contesto” al cui “interno” l’opera veniva necessariamente a trovarsi e grazie a cui si autodefiniva come tale. Poi, per estensione questo contesto diventava un “interno” anche in senso quasi fisico. In gran parte dell’arte post-duchampiana, e poi, di nuovo, con Reinhardt e il minimalismo, è proprio in senso reale che si opera questa distinzione: c’è una quasi identificazione tra “contesto” e “interno”. L'interno è naturalmente identificato a sua volta con un “luogo deputato”: il museo o la galleria d'arte. Lo conferma la teoria del “museo di Reinhardt”, e implicitamente, lo stesso ''ready-made” di Duchamp. Si giunge a dire, che una scultura minimal, trasportata fuori dal suo “contesto” naturale, cioè un interno, e posta all’esterno, cioè in un luogo qualsiasi, perderebbe il suo significato e la possibilità stessa di essere riconosciuta per quello che è. Ridiventerebbe cioè un oggetto normale, una scoria qualsiasi del panorama post-industriale. Il tema interno/esterno diventa così uno dei principali a essere investigato dall’arte minimale e post-minimale, idea-art e altre manifestazioni consimili, in certe manifestazioni di land-art (classico il caso dei “nonsites” di Smithson), ed in altre, prossime all’arte concettuale. La dimostrazione verbale dell’artisticità dell’Empire State Building da parte di Cutfdrth, portava avanti, verso l’inevitabile conclusione, prevista ma non portata a termine da Duchamp, quel concetto di “attribuzione” per cui qualsiasi cosa, anche molto ingombrante - quindi non “esponibile” in un interno, come un qualsiasi “ready-made” - può essere, attraverso una serie di proposizioni, dichiarata opera d’arte pur rimanendo per forza di cose all’esterno. Si tratta di una conquista teorica ma non pratica. Poiché si tratta di verità attive, quindi “reali”, o realmente utilizzabili, solo all’interno di un certo contesto, in senso più lato, questa volta, che il contesto-interno di cui parlavamo poco sopra. Si tratta del contesto dell’informazione su un certo tipo di cultura estremamente specifica, diffusa all’interno di una élite assai ristretta. Si tratta quindi di verità parziali che non toccano che una minuscola porzione del vasto contesto sociale all’interno dei quale, pure, nascono. È a questo punto che la consapevolezza politica traccia il suo diagramma che collega interno a esterno come momenti superati ma facenti parte, entrambi, di un contesto più vasto all’interno del quale le distinzioni fin qui fatte assumono un diverso valore, perché entrambe sottomesse a un’unica dinamica strutturale. Sotto questo nuovo punto di vista le soluzioni che presiedono la dialettica interno/esterno si diversificano e si precisano rispetto alla visione più classica e statica cui accennavano precedentemente, soprattutto dopo il 1972/73, anche se solo in pochi casi le loro risposte, o nuove formulazioni, aggiungono qualcosa o superano realmente la problematica precedentemente impostata.

Collettivo Artwork – Documento programmatico, Aprile 1979

1 - Come non esistono sistemi sociali immutabili, così non esistono forme d’arte fisse. La formazione e lo sviluppo di esse sono parte del processo storico totale della socìetà, quindi possono essere intesi e spiegati soltanto nell’ambito dei rapporti e delle connessioni che in tale processo si creano. Il lavoro d’arte è quindi profondamente classista nel senso che riflette sempre e comunque le idee funzionalì a una determinata classe, sia essa egemone sia antagonista.
2 - L’organizzazione dei segni costituenti l’opera ne determina una lettura concettuale attraverso la traduzione nel linguaggio verbale. Ogni lavoro d’arte, attraverso il suo significante, stimola la crescita di coscienza dialettica, verso l’artefatto e la realtà oggettiva più ampia.
3 - La funzione espressiva di ogni messaggio è di consentire al mittente di “identificarsi” come tale. Il problema maggiore è quello di sostituire a una comunicazione necessariamente limitata e parziale, “interna” al sistema dell’arte, un’altra che investa I’“esterno”, il sistema sociale in una determinata fase economica.
4 - In un sistema strutturalmente predeterminato occorre prendere e far prendere coscienza di un ruolo arbitrariamente considerato improduttivo, una sorta di falsa coscienza, che non si vuol riconoscere patrimonio comune e necessario di tutta la società.
5 - Il sistema dell’arte, composto dalle opere prodotte e dai meccanismi economici dell’avallo, della distribuzione, del mercato è praticamente sconosciuto alla maggior parte delle componenti sociali, mentre all’opposto esercita un’attrazione dipendente sui diretti interessati. Da qui la visione dell’“opera” come qualcosa di eteronomico, come un’esercitazione poetica astratta da qualsiasi rapporto con la realtà quotidiana.
6 - Ogni processo lavorativo (compreso quello artistico) è per conoscere il mondo. Si conosce solo trasformando. Questo processo non è individuale, è sociale. L’operazione consiste nel riconoscere nel complesso delle condizioni economico-sociali prevalenti la premessa e il fondamento sui quali si costruiscono e svolgono (subendone quindi l’impronta) le forme e gli aspetti molteplici dell’attività umana. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza.
7 - Il risultato della lotta di classe che si sviluppa inevitabilmente tra le due classi antagoniste del modo di produzione capitalistica è il comunismo. Non è un ideale morale e presuppone una rivoluzione sociale e politica nella quale il proletariato diventa classe dominante e strappa alla borghesia non solo il potere politico ma anche la proprietà dei mezzi di produzione e di scambio.
8 - La pratica sociale dell’arte si presenta come la sola possibilità di pratica lavorativa dentro e fuori il processo di produzione artistico. In ogni progettazione ideologica si esprimono gli interessi della classe egemonica e si rispecchia, attraverso mediazioni, il modo di produzione dominante. Questa constatazione ci porta a utilizzare il ruolo in senso critico, ovverosia I’“arte come critica dell’arte”, come analisi dei fenomeni sociopolitici che condizionano e determinano il processo di produzione artistico e, quindi, una progettazione avviata da una classe subalterna in vista di un diverso modo di produzione e di una diversa organizzazione deì rapporti. Incidere sulla società presuppone l’acquisizione (legale e illegale) e l’uso di strumenti di comunicazione più vasti e determinati, conquistabili solo attraverso la strategia della pratica politica (che è sempre prassi e coscienza, prassi e pensiero).

Artwork


  ← inizio pagina       altri articoli→