Gli avvenimenti degli ultimi mesi hanno reso necessari ed improrogabili alcuni interrogativi.
Quale spazio dialettico-culturale lo Stato lascia agli intellettuali? La funzione storica di questa parte della società, di giudici e stimolatori, di interlocutori e accusatori nei confronti della struttura sociale, dello Stato, delle Istituzioni come si sta modificando o si è già modificata? Quale area vuol lasciare il potere e quale gli intellettuali vogliono avere? La lotta armata nell'occidente capitalista si è sviluppata soprattutto in due paesi, differenti e uguali: Germania ed Italia. Lo Stato più potente economicamente d'Europa, con il maggior attivo nella bilancia dei pagamenti, con il minor tasso d'inflazione dei paesi occidentali e l'Italia relegata da tempo a Cenerentola economica d'Europa, con il maggior tasso d'inflazione, una sorta d'economia assistenziale con "brontosauri" industriali, come sono stati definiti, da tenere in piedi. Queste le differenze. La situazione di uguaglianza è in certe similitudini storico-sociali non marginali. Ad esempio sono i due paesi che hanno dato vita ai maggior movimenti della destra in questo secolo, fascismo e nazismo. Un politologo, esaminando la situazione del terrorismo in Giappone, avanzava l'ipotesi che la lotta armata nasca da una sorta di cattiva coscienza nazionale che ha le sue origini nella seconda guerra mondiale. Altra somiglianza nella relativa inesperienza sociale di concezione dello Stato, sia in Germania che in Italia, che ha le sue radici negli organismi di potere locale e regionale prima dell'unificazione nazionale dell'ottocento. Un dato determinante e significativo: simbologie economiche e sociali stanno dividendosi definitivamente. A quanto pare la lotta armata appartiene ad un problema di Stato  e non ad una situazione economica. Gli Stati sono condizioni troppo importanti socialmente e troppo d'intralcio perchè le multinazionali, la finanza internazionale, cioè chi detiene uno dei massimi poteri, si affannino a difenderli. Non sono difendibili, sono troppo coinvolti. Siamo arrivati all'equazione che al massimo ordine corrisponde il massimo disordine. Nel periodo dell'affannosa caccia ai rapitori di Moro, la Borsa Italiana non ha subito che in minima parte la spinta psicologica degli eventi dimostrandosi più interessata ad avvenimenti interni all'economia che a quelli esterni. Che il massimo del terrorismo sia una caduta del dollaro? Ma, a questo punto, ci chiediamo : se il sociale appartiene ad una visione politica, che spazio è rimasto agli Intellettuali tra Stato e lotta armata? Fine della politica, fine del sociale, fine del potere: sono ipotesi teoriche che negli ultimi mesi hanno appassionato i sociologhi di mezza Europa. Abbiamo chiesto ad alcuni di loro proprio questo: c'è ancora rimasto uno spazio? Lo abbiamo chiesto ad alcuni italiani, proprio perchè maggiormente coinvolti nel circuito emozionale speculativo e nelle ultime polemiche su "coraggio e viltà" sul caso Moro e ad  alcuni intellettuali  francesi. La seconda scelta è molto ovvia: ci sono indiscutibilmente legami privilegiati tra intellettualità francese ed italiana, pur in un contesto sociale diverso. E molti di questi hanno preso una posizione precisa e rigorosa contro i fenomeni repressivi in Italia. Anche i maggior contatti, rispetto ad altri paesi Europei, hanno favorito una dialettica intellettuale unica nel suo genere. Lo stato esiste in Francia da almeno 400 anni, in Italia stiamo ancora chiedendoci se la teoria della "morte del potere" di Baudrillard si sia verificata nella prassi. Uno Stato forte non avrebbe avuto paura di trattare per Moro, ma un non-Stato? La simulazione è parte di questo gioco dell'economia che attribuisce poteri alla politica. Così  Brian Jenkins, della Rand Corporation, esperto di terrorismo per il "Defense Advanced Research Project Agency" , afferma che "i terroristi coreografano la loro violenza. Il terrorismo è teatro e il mondo è ormai il loro palcoscenico".