L’attività dei no-artist inizia nel 1959 a New York con manifestazioni e mostre collettive inizialmente nei sotterranei della March Gallery nella Decima Strada, allora centro dei movimenti artistici. I no-artist della March Gallery furono i primi e si può dire gli unici a lavorare con un intento artistico nuovo, nella direzione dell'impegno sociale e dell’arte di contestazione. Dal 1963 il gruppo iniziò a esporre alla Galleria Gertrude Stein, dove avevano uno spazio a loro disposizione e godevano di ampie possibilità di scelta sia sul tema sia sulla durata dell’esposizione, e dove nessun altro lavoro di tendenza diversa poteva essere esposto.Il nucleo del gruppo era costituito da Sam Goodman, Boris Lurie, Stanley Fisher i quali organizzarono la maggior parte delle mostre-manifestazione. La No-art nacque praticamente come ribellione alla pittura degli impressionisti-astratti, ancora prima della volgarizzazione, attraverso il mercato dell’arte, della cosiddetta Pop-art. Se gli ambienti industriali americani esaltavano la Pop-art, i no-artist la giudicavano asociale, e in modo altrettanto forte criticavano l’estetica e la decorazione delle tendenze astratte. La presa di posizione dei no-artist influì sulla stampa underground e in generale sull’estetica dell’agitata gioventù politicizzata. Ma la monopolizzazione generale dell’avanguardia newyorkese da parte di alcuni gruppi Pop, escluse ogni possibilità di informazione ai no-artist. In quel periodo gallerie e musei furono loro preclusi e la stampa fortemente controllata. Altre mostre sul tema della No-art e sulle pin-up furono organizzate senza la partecipazione degli stessi artisti (“American Show”, ad esempio, dove lo stesso mercante protestò). Era stato infatti deciso che nessun nome dei no-artist comparisse sulla lista delle mostre: per quanto l’uso delle pin-up quale simbolo di Lurie fosse ormai conosciuto dal 1955 . Immagini che con le sculture di escrementi ecc. furono utilizzate liberamente dagli ultimi artisti pop e da questi ultimi divulgate sul mercato. La censura sia a livello informativo che commerciale raggiunse il suo scopo, nonostante la straordinaria e crescente popolarità delle manifestazioni No-art, come dimostrato dall’altissima frequenza di pubblico registrata alla “Doom Show” a New York e a Roma per la stessa manifestazione. >Le radici estetiche della No-art sono da ricercarsi nell’arte popolare, nei graffiti, nei rifiuti industriali, marginalmente in certe forme di espressionismo, nella moltiplicazione visiva e tattile, nella gestualità, nel lavoro e nei processi lavorativi stessi. Il contenuto diventa sempre più enfatico e viene accettata qualsiasi tecnica purché utile all’espressività. La disperazione e la delusione degli anni Cinquanta e Sessanta si trasforma in espressività, senza nascondere la realtà, manifestando un contenuto politico e sociale. Non c’è alcun intento propagandistico nell’opera dei no-artist in quanto lo stesso spettatore viene posto “a confronto” e quindi “provocato”; si giunge così a un conflitto personale e politico nell’ambito dell’arte (non dell’anti-arte). Le mostre della No-art furono numerose, nonostante  le varie preclusioni. Fra le più importanti possiamo citare: “Adieu Amerique” e “Vulgar Show”, del 1960; “No-art” e “No-posters” entrambe di Boris Lurie, del 1963; “Doom Show” e “Errò Show”, del 1964; “Subway Posters” di Herbert Brown, del 1964; “No-sculptures Show» di Sam Goodman e Boris Lurie, del 1965; “American Death Show” di Sam Goodman e Dorothy Gillespie, e “Stanley Fisher”, entrambe del 1965.

Testo pubblicato nel catalogo della mostra di Boris Lurie (Milano 1974).